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Critiche ingiuste a De Laurentiis, ​è un imprenditore, non fa follie

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«Critiche ingiuste a De Laurentiis,
​è un imprenditore, non fa follie»

«Critiche ingiuste a De Laurentiis, è un imprenditore, non fa follie»

di Davide Cerbone

A chi parla di «fallimento» per quel sogno sfumato sull'ultimo miglio, in tanti ricordano che quello vero non è poi così lontano. Di fronte al rapporto controverso tra la città che mangia pane e pallone e il presidente che nel 2004 rilevò la squadra dalla sezione fallimentare del Tribunale di Napoli, il matematico Guido Trombetti, già rettore della Federico II e vicepresidente della giunta regionale, ma soprattutto tifoso al di sopra di ogni sospetto, non si fa capace. «Trovo inspiegabili le critiche: da otto o nove anni siamo ai vertici del calcio italiano e dal 2010 siamo in Europa. Squadre blasonate come Milan, Inter e Roma non possono dire lo stesso. Vero - ammette Trombetti -, Sarri ha fatto vedere il più bel gioco d'Europa, ma anche la gestione societaria è invidiabile: altre società sono piene di debiti. Lo scudetto? Su 115 campionati, solo due sono andati a squadre del Mezzogiorno: i fattori di contesto sono fondamentali. E se si aggiungono i piccoli favoritismi a favore della Juve, che è già fortissima, non c'è niente da fare. Posso capire che l'atteggiamento guascone del presidente possa non piacere, ma è una follia attribuire a De Laurentiis tutti i demeriti e a Sarri tutti i meriti. Se a gennaio si doveva rinforzare la rosa? Sì. Ma i giocatori che voleva il tecnico non sono venuti. Comprare qualcuno che sarebbe rimasto in panchina come Rog e Diawara sarebbe stato inutile. Detto questo, se dieci giorni fa l'Inter avesse battuto la Juve ora canteremmo un'altra canzone».

Armando Brunini, il manager illuminato che dopo aver girato il mondo è tornato nella sua Napoli per rilanciare l'aeroporto di Capodichino, sulla mancata sintonia con la città ha idee granitiche: «Secondo me non si può che restare ai fatti - premette subito l'ad di Gesac -, e come manager non posso che osservare che l'azienda è sana e che, pur avendo un giro di affari più basso di alcune concorrenti dirette, la squadra dà spettacolo e sta ai vertici. Chiaro, il tifoso è tifoso e vuole vincere. Anche io lo sono. Quando si arriva ad un soffio da un'occasione che difficilmente si potrà ripresentare, il rammarico è naturale, ma a freddo la valutazione non può che essere positiva». Nino D'Angelo, il cui grido «È succieso!» dopo l'incornata vincente di Koulibaly allo Juventus Stadium è diventato virale, confessa: «Ci ho sperato fino a domenica sera. Sì, mi faccio anch'io i conti, vedo anch'io i torti arbitrali, ma vivere senza speranza è disarmante. Sarri ha dato al Napoli un gioco bellissimo e ha fatto diventare il nostro calcio di nuovo internazionale, ma De Laurentiis è molto bravo come imprenditore. Dico che il Napoli ha bisogno di lui e lui ha bisogno del Napoli», osserva salomonico il cantautore. D'Angelo, che conosce bene il produttore (De Laurentiis - a proposito - lo volle nel film Tifosi, accanto a un certo Diego Maradona), ma anche quel popolo che palpita per la causa azzurra, affonda le mani nelle viscere di un amore. «Aurelio deve capire che con il Napoli s'è comprato anche un po' il sentimento di un popolo. I tifosi che lo contestano sono quelli che nella vita perdono sempre, e che almeno col calcio una volta tanto vorrebbero vincere. È la parte più popolare, la più povera, quella che non conta niente. Quella che prende solo mazzate».

Antonio Giordano, oncologo, patologo, genetista e ricercatore che a Philadelphia dirige lo Sbarro Institute per la ricerca sul cancro, motiva così il mancato feeling: «La città reagisce in modo irrazionale, ma dobbiamo capire che la Juve è come una grande industria, mentre il Napoli è una media impresa: sono due modelli differenti. Il Napoli di Ferlaino - dice lo scienziato, amico personale di De Laurentiis - vinse contro colossi come Milan, Juve e Inter, ma poi si trovò in bancarotta. Ci abbiamo messo anni per riprenderci». Anche Alessandra Clemente, assessore comunale alle Politiche giovanili, individua nella distanza a volte incolmabile tra testa e cuore la causa di un'intesa intermittente. «Probabilmente le regole del business non sono allineate con quello che vorrebbero i tifosi. Ma se Sarri, che parla da operaio e si presenta in tuta, è uno di noi, De Laurentiis ha fatto di tutto per vincere, non vendendo i calciatori più forti. Il tema, piuttosto, l'ha centrato il sindaco, parlando di una forte sudditanza psicologica degli arbitri verso i poteri forti. Domenica scorsa, comunque, i napoletani hanno dimostrato al San Paolo la consapevolezza di aver vissuto un grande sogno collettivo». Il regista Francesco Patierno mitiga la delusione con la logica. «Se una parte della città non accetta De Laurentiis è perché non ha messo la maschera del capopopolo, del demagogo. Forse questo è stato l'anno in cui ho più investito emotivamente sulla squadra: la delusione brucia, eccome. Nel dolore della perdita di uno scudetto, dobbiamo ricordare che quello che ha fatto Orsato è scandaloso, anche se a Firenze avrei voluto vedere una squadra ancora più arrabbiata e vogliosa di vincere. Ad ogni modo - dice il cineasta -, se si ragiona con la pancia non si va da nessuna parte. De Laurentiis non è un presidente-tifoso che fa follie, ma è con i presidenti tifosi che siamo finiti male. Per la prima volta abbiamo un presidente-manager che fa quadrare i conti e guarda avanti, grazie al quale dalla serie C siamo arrivati terzi e secondi. Con lui si è aperto un ciclo che può continuare».

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