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Il Napolista - Antonio Giordano, uno dei più importanti oncologi del mondo, non ha il coraggio di guardare il rigore. Esce dalla stanza. Anche il pallone tirato da Higuain esce

Oncologo, patologo, genetista, ricercatore, professore universitario. Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia, sulla scorta del lavoro del padre Giovan Giacomo denuncia da anni i fattori ambientali che incrementano le patologie tumorali, in particolare nella Terra dei fuochi. Ha isolato il gene che, iniettato nei topi, si è rivelato in grado di ridurre la crescita dei tumori. È uno dei più importanti oncologi del mondo, eppure, quando gli chiediamo quale sia la sua professione, si definisce semplicemente “ricercatore oncologico”. Basterebbe questo per descrivere il professor Antonio Giordano, 52 anni, sposato con Mina e padre di Maria Teresa, Giovan Giacomo e Luca. Una persona modesta, umile, gioviale e allegra, amante del buon cibo e dei piaceri della vita, sempre sorridente e, soprattutto, tifosissimo del Napoli, tanto da non perdersi una partita al San Paolo quando è di passaggio in città. 

Vive in Gulph Creek Drive, Philadelphia, dove si trasferì a 25 anni dopo aver frequentato, sin da ragazzino, i laboratori americani nel periodo estivo: «Mio padre ci teneva a che sperimentassi il rigore dell’ambiente anglosassone», spiega.

Adora i salumi, la mozzarella di bufala e i formaggi. Racconta che per renderlo felice basta offrirgli un bel piatto misto, «magari con olive verdi, melanzane sottolio e pane». Beve caffè amaro o con zucchero di canna, prepara un tacchino del Ringraziamento che è una gioia solo a guardarlo; di Napoli gli mancano il clima, il mare e il calore della gente. Lo affascina particolarmente il mito di Masaniello, «la figura di un uomo che si schiera in favore dei più deboli». Il luogo della città a cui è più legato è la sua casa di via Petrarca: «Nel panorama che si ammira da lì c’è tutto, il mio passato, il presente e, chissà, forse anche il futuro». La sua canzone napoletana preferita è “Era de maggio”, ma ha un debole per “Caruso”, affascinato dalla figura del tenore che per primo si cimentò con la tecnologia incidendo dischi con una gran voce.

Per lui il Napoli è svago, evasione. La sua prima partita al San Paolo è stata Napoli-Juventus 1-0, nel 1970, con rete di Luigi Pogliana, «glorioso terzino sinistro che fece sì che il Napoli diventasse primo in classifica». Definisce il rapporto della città con la squadra un misto di amore e odio: «Napoli è una città difficile, ti porta facilmente al successo e con la stessa facilità è capace di distruggere i suoi figli». Il suo rapporto con il Napoli di Benitez è stato di grande serenità. Tra tutti i calciatori azzurri non ha dubbi: sceglie Higuain.

La partita la vede a casa, con i figli (Giovan Giacomo è l’unico presente allo stadio), la moglie e alcuni amici americani ai quali spiega quanto è importante essere napoletani e tifosi del Napoli: «Essere napoletani significa conoscere la storia e le tradizioni artistiche della città, viverne le contraddizioni, la superstizione, il talento, la creatività ma anche il vittimismo che qualche volta ci caratterizza. Il Napoli è un mezzo in cui riversare la passionalità e l’attaccamento alla città, i successi della squadra rappresentano una rivincita per l’intera popolazione», racconta agli amici. Solo che al secondo gol della Lazio si chiede: «E mo che dico a questi americani? Solo San Gennaro può fare il miracolo». Nell’intervallo si respira aria pesante, gli americani bevono birra e mangiano nachos, non capiscono la gravità della situazione. Nella ripresa Higuain segna e gli americani esultano. Antonio resta concentrato, Higuain pareggia, arriva il vicino di casa giapponese con una bottiglia di champagne: «Non aveva capito che dobbiamo vincere – dice Antonio – Però, vedi? Abbiamo evangelizzato bene il tifo napoletano tra gli stranieri». Non ha il coraggio di guardare il rigore. Esce dalla stanza. Anche il pallone tirato da Higuain esce, e la Lazio ci segna il terzo e anche il quarto. «Una partita che è l’emblema del campionato. A parte che i campioni i rigori devono metterli dentro, ma serve un allenatore che ostenti la grinta e la camicia non da borghese incazzato, ma, come disse Cucci di Mazzarri, da popolano incazzato». E adesso, ricominciamo.

Per approfondimento

http://www.ilnapolista.it/2015/05/napoli-lazio-tifoso-philadelphia/

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