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Nel futuro della ricerca oncologica “terapie personalizzate” dei pazienti affetti da tumore

Antonio Giordano
L’obiettivo di tanti ricercatori oggi è comprendere come sia possibile “spegnere” l’interruttore del gene retinoblastoma (RB1) che dà origine allo sviluppo di cellule cancerose e alla loro più o meno rapida crescita o come “accenderlo” per avviare il processo di morte cellulare

retinoblastoma

di Antonio Giordano - 27 ottobre 2016

Supportare la ricerca scientifica nello studio e nella cura del Retinoblastoma, tumore maligno intraoculare che si manifesta prevalentemente in età pediatrica, significa promuovere studi per trovare nuove strategie preventive e terapeutiche in oncologia.

Nel Retinoblastoma le cellule tumorali prendono origine dalla retina, ovvero dai retinoblasti costituenti il tessuto nervoso deputato alla ricezione degli stimoli luminosi che si trova all’interno dell’occhio.

Sebbene possa insorgere a tutte le età dell’individuo, dal punto di vista epidemiologico, la grandissima parte dei pazienti è composta da bambini di età inferiore ai 5 anni.

Questo tumore si presenta alla diagnosi con uno spettro di variabilità prognostica alquanto ampio a seconda dello stadio di progressione della neoplasia.

È importante considerare che su questa neoplasia dell’infanzia la ricerca scientifica nell’ultimo ventennio ha registrato successi estremamente importanti sia individuando le alterazioni genetiche proprie di questo tumore e sia migliorando di gran lunga la strategia terapeutica. Ciò ha consentito non solo la sopravvivenza ma anche un numero sempre crescente di guarigione di pazienti che, per la loro tenera età, hanno una potenziale aspettativa di vita molto elevata. Anche se purtroppo esistono tutt’oggi disparità elevatissime sia a livello di diagnosi che di terapia tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo.

Il retinoblastoma è stato il primo tumore umano in cui un meccanismo di ereditarietà è stato dimostrato. Il paziente con neoplasia ereditaria presenta un elevatissimo rischio di sviluppare la malattia bilateralmente (in entrambi gli occhi), o in una minoranza di casi, anche “trilateralmente”, quando la trasformazione neoplastica interessa la ghiandola pineale posta alla base del cervello.

Oltre che “ereditario” il retinoblastoma può insorgere in seguito a eventi casuali (retinoblastoma “sporadico”). Proprio in base a queste modalità di presentazione del tumore Alfred Knudson nel 1971 elaborò la ‘teoria dei due colpi’, secondo la quale almeno due eventi mutazionali sono necessari per lo sviluppo tumorale.

Gli studi di biologia molecolare e di biochimica hanno identificato come responsabile di questo tumore un gene in particolare, oggetto di tali eventi mutazionali, che è stato definito proprio RB (retinoblastoma). Un terzo dei bambini affetti da retinoblastoma presenta una mutazione del gene RB nella linea germinale (congenita). Questo significa che tutte le cellule del corpo hanno un gene RB difettivo. Nella maggior parte dei casi (75%), la mutazione si sviluppa nelle fasi precoci dello sviluppo, mentre per la restante parte (25%), la mutazione genetica è trasmessa dai genitori. Questi bambini tenderanno a sviluppare retinoblastoma bilaterale e saranno predisposti a sviluppare tumori anche in altre sedi.

In due terzi dei casi invece (tumori sporadici) la mutazione del gene RB avviene durante i primi anni di vita a livello di uno solo dei due occhi. Tali bambini sviluppano retinoblastoma monolaterale e non hanno lo stesso incremento di predisposizione al cancro rispetto ai bambini con la forma congenita.

Oltre che nel retinoblastoma, alterazioni strutturali e/o di funzione del gene RB1 sono state trovate anche in altri tipi di tumori. Le ricerche sul tale gene in ambito oncologico si sono moltiplicate una volta che si è dimostrato che RB1 è un gene oncosoppressore e come tale è in grado di contrastare la potenziale insorgenza di tumori in tutti i tessuti dell’organismo. In particolare le ricerche hanno evidenziato che RB1 in realtà fa parte di una famiglia di geni oncosoppressori più ampia, che comprende anche RBL1/p107 e RBL2/p130. L’importanza di tali geni consiste nella dimostrazione delle importantissime funzioni svolte: non solo di controllo della crescita neoplastica, ma anche di regolazione di processi cellulari di morte programmata (apoptosi), differenziazione e senescenza, tutti in grado di contrastare lo sviluppo e la progressione tumorale.

In particolare l’obiettivo di tanti ricercatori oggi è quello di comprendere come sia possibile “spegnere” l’interruttore del gene RB1 che dà origine allo sviluppo di cellule cancerose e alla loro più o meno rapida crescita o come “accenderlo” per avviare il processo di morte cellulare.

Dal punto di vista clinico, la conoscenza specifica che la scienza ha prodotto sulla famiglia dei geni oncosoppressori RB ha dato inizio a importanti studi sulla correlazione tra genotipo/fenotipo e prognosi ovvero sulla correlazione tra alterazione genetica e aggressività del tumore e sua prognosi. Ciò potrebbe consentire in un futuro probabilmente molto vicino una risolutiva “terapia personalizzata” dei pazienti con retinoblastoma e forse anche di pazienti con altri tumori.

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