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La lingua in cui ci esprimiamo influenza la nostra percezione delle cose e la nostra etica

di Antonio Giordano

Recenti studi dimostrano che il cervello viene diversamente “modellato” dalla lingua che utilizziamo e che la nostra personalità dipende anche dalle caratteristiche linguistiche del nostro comunicare. La ricchezza culturale e simbolica contribuisce alla nostra visione del mondo

Quando comunichiamo con altre persone, mettiamo in atto una serie di processi cognitivi, psicologici ed emotivi di cui spesso non siamo consapevoli e che influenzano fortemente la qualità della nostra interazione umana. Già all’interno di una stessa lingua dialogare, comprendersi, confrontarsi può risultare complicato perché ognuno di noi può attribuire significati diversi alle parole che usa in base alla propria istruzione, esperienza personale ed alla propria sensibilità.

Recenti studi dimostrano che il nostro cervello viene diversamente “modellato” dalla lingua che utilizziamo e che la nostra personalità dipende anche dalle caratteristiche linguistiche del nostro comunicare. In altre parole sembrerebbe che la ricchezza culturale e simbolica di una lingua  possano contribuire a “strutturare” il nostro cervello in modo particolare e diverso a seconda del contesto linguistico considerato, cambiando la nostra visione del mondo.

I differenti substrati culturali in cui si muovono le lingue tendono ad attribuire alle parole sfumature molto varie che possono avere influenze emotive anche forti sulle persone. La parola “drago”, ad esempio, per un occidentale richiama meraviglia o paura per un essere fantastico di cui possono fare esperienza soltanto leggendo un romanzo fantasy o guardando un film. Per un cinese invece significherà anche molto altro: nella cultura cinese il drago è simbolo di forza e saggezza per cui la sua immagine creerà una serie di collegamenti mentali e suggestioni emotive sconosciute ad un europeo o americano. Di conseguenza persone che padroneggiano più lingue saranno esposti a molti più stimoli cognitivi e processi metacognitivi.

Alcune evidenze dimostrano che la madrelingua resta il canale preferenziale attraverso cui si muovono la nostra etica e la nostra morale. Uno studio su PlosOne, infatti, ha dimostrato che quando ci esprimiamo in una lingua che non è quella di origine abbiamo meno remore “morali” perché prevalgono i meccanismi cognitivi su quelli emotivi. Infatti il linguaggio che apprendiamo da bambini risulta molto più influenzato dalle emozioni rispetto ad una seconda lingua appresa in età  adulta.

Recentemente è stato osservato che anche il “genere” delle parole può influenzare la personalità: uno studio su bambini ebrei e finlandesi – la cui lingua è estremamente diversa per tanti motivi, tra cui il numero di parole con genere maschile e femminile – ha dimostrato che i bambini ebrei si “accorgono” di essere maschi o femmine molto prima dei bambini finlandesi. Questo perché la lingua ebraica assegna in maniera più chiara e definita il genere maschile e femminile alle parole, cosa che si rifletterebbe sulla stessa identità dei bambini ebrei a differenza dei bambini finlandesi, la cui lingua invece assegna in maniera meno rigorosa il genere ai vocaboli.

Molto interessante è anche il rapporto tra la matematica e la lingua: poiché per padroneggiare la matematica è necessario un grande sforzo cognitivo, pur conoscendo una seconda o una terza lingua, continueremo a “pensare” i numeri nella madrelingua. Anche lo studio della grammatica “funziona” da un punto di vista cerebrale come la matematica richiedendo un maggior controllo cognitivo: i bilingui tardivi (cioè quelli che hanno appreso un seconda lingua in età non infantile), pur parlando in maniera fluente, durante un compito di grammatica presentano una mappatura cerebrale “diversa” che li distingue dai bilingui precoci che, avendo imparato una seconda lingua in età infantile, vanno incontro ad un minore sforzo cognitivo.

La lingua in cui ci esprimiamo, quindi, plasma il cervello e influenza la nostra percezione delle cose. Le persone che parlano più lingue hanno a disposizione un universo simbolico, culturale e cognitivo estremamente ampio, potenzialmente arricchente e vivace.

Molti studiosi sono convinti che persone che parlano lingue diverse siano cognitivamente diverse a tal punto da influenzare profondamente la loro visione del mondo. C’è chi sostiene che le caratteristiche di una lingua possano condizionare il senso di giustizia e di responsabilità personale: nella lingua inglese, ad esempio, per dire che un vaso si è rotto si dà per scontato che “qualcuno” lo abbia rotto e, quindi, che esista un responsabile dell’accaduto. Nella lingua spagnola, invece, si dice semplicemente che “il vaso si è rotto”. Secondo alcuni osservatori questo tipo di sfumature lessicali potrebbero almeno in parte spiegare perché nella cultura anglosassone si tende più facilmente a punire chi trasgredisce le regole piuttosto che risarcire le vittime.

La lingua, quindi, non è soltanto un mero strumento per riuscire a veicolare informazioni, ma è uno mezzo comunicativo molto più complesso e profondo, straordinariamente ricco e sotteso al contesto culturale in cui agisce. Quindi, parlare e capirsi, soprattutto se si proviene da  nazioni (e, quindi, lingue) diverse non è affatto un’operazione immediata e banale.

per approfondimenti

http://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2016/07/07/siam...

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