Fenomenologia dell'incontro

«…gli aspetti corporei e gli aspetti psichici marciano sempre uniti

senza essere tuttavia la stessa cosa»

Matte Blanco, 1990

 

Da qualche tempo la medicina, la cura psichica e la psicologia sono chiamate a confrontarsi con problemi sicuramente nuovi rispetto agli accadimenti umani e alle persone sofferenti, come se fossero stati precipitate dai loro presupposti teorici, dalle loro promesse metodologiche, cliniche o più semplicemente dalla loro stessa genealogia epistemologica. L’unico strumento che il clinico  può usare è se stesso in rapporto alla soggettività dell’altro, attraverso il palpitare della propria anima all’unisono con le vicende altrui (Jaspers). Si pongono questioni  che vanno ben oltre la malattia della persona, gli strumenti diagnostici e le tecniche, l’orizzonte operazionale clinico delle scienze umane,  dubbi e domande che sopravanzano abbondantemente nel campo delle prassi.  

Nel nostro settore (psicologico-clinico) comprendere è  divenuta la parola-chiave della psicopatologia clinica, della psicologia e della psicoterapia. Il problema è tuttavia comprendere cosa comprendere vuol dire dinnanzi ad un disagio psichico, vista la polisemia del verbo comprendere, che. per esempio, va da frasi del tipo “non comprendo questo evento ” a “mia fratello non mi comprende”.

Fra i diversi possibili modelli ermeneutici del comprendere la tradizione psicopatologica si basa su un comprendere che cerca di ritrovare il mondo vissuto nella individuale esperienza, specialmente nella forma dell'esperienza, che può essere avvicinata sulla strada della identificazione con l’altro (l'intersoggettività è parte fondamentale del vivere, così come il condividere). E’ risaputo che ogni identificazione  si lega al fatto che tutti noi possiamo rivivere gli aspetti formali dell’attività mentale dell’altro anche se i contenuti ci resteranno sempre estranei in quanto irriducibilmente altrui. Ogni comprendere è quindi alla base un auto-comprendersi, un gioco di specchi e confronti.

 

«Deve esserci in lui [nello psicopatologo] come una immedesimazione nell’altro [....] Lo psicopatologo è legato alla propria capacità di vedere, di sperimentare interiormente e alla propria ampiezza di orizzonti, all’apertura verso nuovi problemi e alla propria ricchezza spirituale»[1].

 

La tradizione psicopatologica porta il merito e la responsabilità di aver posto la doppia dicotomia "comprendere vs. spiegare e comprensibilità vs. incomprensibilità" proprio nel cuore della cura e della tecnica psicologica; e con ciò continuiamo, costantemente,  a dover fare i conti. Il comprendere, ad esempio, utilizzato dallo psicologo non si arresta quindi tanto presto, ed ha altri presupposti.  Chi soffre di alterità esplicitamente ci parla della sua alienità, utilizzando le parole. L’oggetto della psicopatologia è l’accadere psichico reale e cosciente. Noi vogliamo sapere che cosa provano gli esseri umani nelle loro esperienze e come le vivono[2]

Per coloro che, come chi scrive, svolgono attività clinica e di ricerca nel campo della sofferenza umana utilizzando  percorsi diversificati (cura, prevenzione, ri-abilitazione, prassi sociale), l’attività trasformazionale diretta ad altri (persone al limite, sofferenti, escluse, marginate, etc.), l’auto-critica, la temporalità fungente (il legame al proprio tempo storico), la labilità dei mezzi psicologici e la provvisorietà delle scelte strategiche costituiscono dei precisi aspetti operativi  legati ad un preciso  “atteggiamento operazionale” (abito mentale). 

Questo ricercato slargamento, nelle scienze umane e sociali, si presenta nella clinica  – necessariamente – connessionale ed operazionale, legato al futuro,  alle storie singole delle persone, a ciò che accade: appare con un carattere fortemente pratico e  denso di conseguenze e non speculativo.  Il ricercare  dovrà – in maniera rigorosa – porre in continuità la ricerca, l’esperienza quotidiana  (concreta) e la vita. Insomma «la ricerca non dimentica mai che svolgersi nel mondo umano è, insieme, capire e vivere» (Piro S.)L’uomo è ontologicamente homo viator, ossia sempre alla ricerca di una verità (anche interiore)[3].

Oggi il vasto campo delle teorie sulla cura, sulle prassi nel campo psicologico ed il panorama che offre la ricerca  è tale, con le sue innumerevoli varianti, spunti, sprazzi teorici e differenziazioni, che il tentativo di offrirne una sintesi chiara ed ordinata, , agli addetti ai lavori, risulterebbe impresa assai complessa, talora addirittura inutile.  D’altra parte l’instabilità attuale del sapere psicologico umano che, come la vita «non ha verità, ha svolgimento» (Piro S. 1997),  il rapido sovrapporsi di nuovi orizzonti di senso nel campo delle scienze umane, impediscono di proporre una modalità di conoscenza umana che non sia transitoria, ai cambiamenti della storia. 

Pertanto il nodo fenomenologico  di fondo da parte del clinico[4], nella cura psicologica, è quello del comprendere/intuire[5] (affioramento coscienziale) versus  spiegare ed interpretare ciò che accade nella psiche del paziente durante o dopo uno stato e  crisi nevrotica, psicotica o depressiva, pur riconoscendo una differenza fra la sofferenza  rigida  psicotica e la sofferenza  fluente nevrotica[6]. Lo studio delle esperienze psichiche nella clinica si muove, congiuntamente, entro l’orizzonte epistemico della psicoterapia, della psicologia e dell’antropologia, la quale sono, per principi, paradigmi, costrutti, saperi e informazioni che provengono dalla soggettività/alterità nella sua costitutiva diversità. Qualunque altra attività psichica, di sperimentazione e di ricerca, si connette con  il fatto che le concezioni sul «disagio» vanno modificandosi senza posaNel nostro caso sarà utile definire tali prassi come multiaccadimentali.

Alcuni attenti ricercatori hanno preso atto che oggi, rispetto al passato, sono necessari per migliorare la condizione umana, legami con altre discipline e campi del sapere (ad esempio le neuroscienze cognitive), mutamenti importanti di teoria, di prassi, di linguaggio, affinché l’impegno nella cura della sofferenza e nell’antagonizzazione dell’esclusione non diventi copertura ideologica, non si risolva in un mistificante inganno.

 

Quindi, seguendo una nostra direttiva,  la ricerca che qui si presenta non ha nessuna possibilità di stabilità, perché continuamente muta l’osservato principale: l’accadere dell’accadere umano. Ad ogni grado epocale nella vita delle genti, a ogni mutamento di orizzonte filosofico-scientifico ed epistemologico nella ricerca (anche ad ogni modifica nel mondo delle arti, dei media, dei costumi, della tecnologia, della comunicazione), si trasformano, insieme e irrimediabilmente, l’osservato antropico, gli strumenti osservazionali e semiografici, le tecniche, le prassi di cura e di prevenzione e infine le narrazioni antropologiche che ne derivano, i racconti.

 

 

 

Bibliografia

AA.VV. Prassi trasformazionali in campo di esclusione antropica (rapporto conclusivo a cura di Antonio Mancini), La città del Sole, Napoli, 2006.

Cargnello D. Alterità e Alienità, Feltrinelli, Milano 1966.

Errico G. Le dimensioni molteplici della pratica sociale, La città del sole, Napoli, 2005.

Fagioli M., L’idea della nascita umana. Lezioni 2010, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2015.

Freud S., Introduzione alla psicanalisi. Prima e seconda serie di Lezioni, Boringhieri, Milano,  1978.

Galimberti U.,  Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano, 1991.

Gabbard G.O., Psichiatria dinamica, Raffaello Cortina, Milano, 1995.

Natoli S., L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli, Milano, 2004.

Piro S.,  Trattato della ricerca diadromico-trasformazionale, La città del sole, Napoli.

Schneider K. (1965) Psicopatologia Clinica. Città Nuova, Roma 1983.

Basaglia  F., Che cos’è la psichiatria, Baldini Castoldi, 1997.

Binswanger L. (1956) Tre forme di esistenza mancata. Il Saggiatore, Milano 1964.

Jaspers K. (1913 - 1959) Psicopatologia Generale. Il Pensiero Scientifico, Roma 1965.

 

 

NOTE

 1]  L’uomo è sempre in perenne ricerca, mai definitiva, possesso della verità. Credo che il discorso sul bisogno del benessere (la ricerca)  abbia molto importanza per le scienze umane, tese come sono a migliorare la condizione esistenziale delle persone. Al tempo stesso l’uomo di oggi ha più che mai bisogno di uscire da quell’ambito in cui è stato rinchiuso che molte varianti di «scientismo».

 

[2] La fenomenologia ha esercitato un'influenza profonda nella psicologia proprio perché, paradossalmente, è nata sulla base di un programma radicalmente anti-psicologico: la fenomenologia nega che ci si possa occupare dell'anima indipendentemente dal suo essere-nel-mondo, dal suo tendere alle cose e stare in mezzo alle cose stesse; nega il presupposto secondo cui la mente, la coscienza, o il pensiero possano essere descritti o analizzati in quanto tali, avulsi dal mondo in cui mente o spirito o coscienza o pensiero sono situati. Husserl va verso le cose stesse nella misura in cui ha scoperto che «la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa, e sempre secondo una certa modalità». Il soggetto non è una monade ma sempre in situazione. Perciò la fenomenologia -- disse Husserl -- è una «scienza delle ovvietà». Husserl vede la coscienza o il pensiero umani come inscindibili dalla loro intenzionalità, dal fatto cioè che siamo coscienti sempre di qualcosa e sempre secondo un certo modo. Quindi l'intuizione fenomenologica è assolutamente anti-analitica: si sforza di non dissociare mai il soggetto dai suoi oggetti. La fenomenologia  vuole andare il mondo. Va prima di tutto verso l'ente che va verso le cose stesse: quel che Heidegger chiamò Esserci, Dasein.

 [3] Possiamo osservare o cercare di comprendere? Ma cosa significa ‘comprendere’? ‘Prendere con’ (dal latino comprehensio, -onis) è l’atto e la capacità di capire, cioè di ‘afferrare’ (cum-prehendo, cioè ‘afferro insieme cose che stanno dinanzi a me’) con la ragione un contenuto conoscitivo. Noi conosciamo il corpo sano che può ammalarsi e morire, e dobbiamo affrontare e cercare di curare la malattia per ottenere una guarigione del corpo stesso.

 [4] La sofferenza fa parte della vita di ogni uomo e della storia del mondo. La sua ineludibile presenza costituisce per la riflessione un problema che implica drammatici interrogativi intorno ai quali si sono affaticati numerosi studiosi. Per  molti autori, filosofi e scrittori  il problema della sofferenza è visto in relazione ai suoi risvolti sulla visione del mondo, che  l’esperienza del dolore, sia esso fisico o morale, comporta.

 [5] Jaspers K. (1913 - 1959) Psicopatologia Generale. Il Pensiero Scientifico, Roma 1965, p 2.

 [6] Jaspers K., Op.cit., p 23.