«…l’uomo comune ha esperienza diretta dei singoli eventi ripetuti nello scorrere del tempo,
mentre lo psicologo tenta di ricostruire a ritroso una catena di eventi, così che l’operare
del primo è anterogrado e adeso alla freccia del tempo e l’operare del secondo è retrogrado». Piro S.1993
Per coloro che, come chi scrive, svolgono attività didattica (empirica) e soprattutto clinica[1]nel vasto orizzonte sociale, della sofferenza oscura[2] e delle mutazioni, contro le situazioni (anche interiorizzate) di limitazione e danno personale[3], utilizzando percorsi diversificati, prassi trasformazionali diretta ad altri (in genere persone sofferenti, escluse, marginate) congiuntamente ed in maniera intrecciata nel campo sociale, mutamento personale, passione del viaggio comune, auto-critica, il legame al proprio tempo personale e storico, labilità dei mezzi e provvisorietà delle scelte strategiche costituiscono dei precisi aspetti legati ad un “atteggiamento operazionale” (abito mentale).
Questo ricercato slargamento della conoscenza umana (il pensare, il vivere, l’esperire), tale apertura al nuovo, tale sperimentazione del tempo della cura, appare connessionale, legato al campo sociale in cui vive il paziente, alla narrazione delle storie individuali delle stesse persone sofferenti, a ciò che accade e subentra nel campo antropico umano (ideologie, forme mentis) e al campo vasto delle conoscenze umane: assume un carattere fortemente pratico per il paziente e il clinico denso di conseguenze patiche e, pone - in maniera rigorosa - in continuità la ricerca del nuovo e del sapere, l’esperienza quotidiana pratica, il patire, il vivere:la ricerca non dimentica mai che svolgersi nel mondo umano è, insieme, capire e vivere (Piro S. 2005).
L’assorbimento delle conoscenze innovative che influenzano il campo “psy”, la continuità fra la ricerca, la cura e la vita non è un’utopia per il lavoro clinico di uno psicoterapeuta, neppure un' asserzione generica di modalità fra loro diverse della presenza: al di là del senso antropologico e biologico vastissimo del vivere come ricerca, gli intrecci, le connessioni e i rovesciamenti nell'intersezione fra vita collettiva, conoscenze, relazioni interpersonali, pulsare dell'interiorità, divenire dei sentimenti sono riconoscibili nel tema e nello svolgimento di ogni ricerca nel campo delle scienze umane applicate.
Ogni ricerca profonda è ontologicamente sempre ricerca di una verità (anche interiore)[4]. Ogni atto terapeutico verso qualcuno, nel campo psy, implica un coinvolgimento personale, una trazione forte d’azione verso una persona sofferente: qui allora occorre l’utilizzazione necessaria della propria esperienza ricorrenziale (diacronica e pancronica)[5] di situazioni analoghe, lo strato dell’esperienza professionale vissute nelle fasi preparatorie al lavoro, l’utilizzazione estesa di idee e prassi di ciò che abbiamo compreso e afferrato con la coscienza in passato e a contatto con livelli differenti e intrecciati di sofferenza umana.
In linea generale il processo psicoterapeutico ha modalità diverse e sembra, del tutto provvisoriamente, dalla letteratura e dalla personale esperienza, consistere nel sovrapporsi e mescolarsi di stadi multipli e parziali di momenti etero-trasformazionali ed autotrasformazionali.
Durante un incontro clinico, in genere, una persona entra nello studio del terapeuta, domanda dove sedersi, si accomoda, sospira, guarda negli occhi il terapeuta, e da quel momento, comincerà, probabilmente, a parlare, nell’attesa di una possibile risposta e, nella maggioranza dei casi, dell ‘attivazione’ del cosiddetto "transfert" (se il terapeuta e di stampo freudiano o psicanalitico), di una data ‘ospitalità’ psichica, non ancora sapendo se il suo desiderio non realizzato lo spingerà a parlare di se stesso per ore e ore, se cederà all’impulso di ‘risolversi’ autonomamente, bloccando qualsiasi spunto di riflessione su se stesso, abbandonando così la ‘cura’.
In altri luoghi paesi stranieri una persona, entra in una capanna/tepee, si siede/stende, prova a respirare meno affannosamente, guarda negli occhi lo sciamano/stregone (come indica Levi-Straus il ‘nele’) del villaggio. Costui solo è colui che detiene la saggezza, la cura, inizia a parlare e/o cantare con ritmo, e da quel momento, pur non sapendo se ciò che lo ha portato lì, scomparirà, potrà scegliere di affidarsi al ‘mana’, alla ‘ospitalità’ simbolica del ‘curandero’ o, invece, tornare ad affrontare i suoi ‘spiriti’ (buoni e cattivi che siano) che lo hanno accompagnato fin lì nel luogo dell'incontro magico, della cura e della saggezza antica.
Abbiamo così due contesti psichici diversi, che lavorano sulla persona sofferente: lo studio di uno psicoterapeuta o la capanna/tenda dello sciamano. La dimensione possibile della ‘ospitalità’ simbolica, transferale, di natura prettamente psichica, possa indirizzarsi verso una ‘cura’, che sia di natura psicologica, e laddove ci sia l’adeguata cultura, anche a forte connotazione antropologica, e divenire una fattore portante dell’incontro ‘curativo’ tra due soggetti che, probabilmente, prima di allora, non si erano mai conosciuti né visti, e che cominceranno uno ‘scambio’ . Tale scambio avrà una ‘dimensione emotiva", unica, una imprescindibile singolarità, al di là di qualsiasi possibile approccio teorico o culturale.
Note
[1] Occorre sottolineare che tali prassi antagonizzanti la sofferenza umana, nell’ottica Antropologica Trasformazionale, possono includere diversi fattori: l’attesa, il silenzio, la pausa cronodetica (sospensione del giudizio), la libera fluenza (associazioni libere), la riflessione su se stessi o erlebnis, la costituzione finalizzata ad un obiettivo preciso e a modalità operative (orari, spazi, “setting”). Cfr. Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, FrancoAngeli, Milano, 1993. p.195.
[2] Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, Franco Angeli, Milano, 1993. pp.222-223. L'”Antropologia trasformazionale” di Piro, scuola sperimentale di cui chi scrive si è formato, si è costituita gradatamente come possibile campo unitario della conoscenza del mondo degli eventi umani e delle loro trasformazioni, come risultato cioè di una complessa ricerca linguistica, semantica, fenomenologica, psicologica, psicopatologica, psicoterapeutica, pedagogica, didattica condotta dall'autore di questo scritto. É stata talora usata questa formula narrazionale: «Molteplicità di strumenti antropologici di osservazione e molteplicità di osservati antropici (mutevoli entrambi storicamente e topologicamente, cioè diacronicamente e sincronicamente): questo è il quadro operazionale che direttamente deriva dalla consapevolezza fenomenologica della complessità» (Piro, S.: 1993a, p. 20; Mele, A. e Piro, S. 1995 p. 13 ).
[3] Nella definizione originaria l'antropologia trasformazionale è la scienza delle interferenze di traiettorie d'esistenza, (nel linguaggio comune "destino umano"). L'”Antropologia trasformazionale” di Piro, scuola sperimentale di cui chi scrive si è formato, si è costituita gradatamente come possibile campo unitario della conoscenza del mondo degli eventi umani e delle loro trasformazioni, come risultato cioè di una complessa ricerca linguistica, semantica, fenomenologica, psicologica, psicopatologica, psicoterapeutica, pedagogica, didattica condotta dall'autore di questo scritto. É stata talora usata questa formula narrazionale: «Molteplicità di strumenti antropologici di osservazione e molteplicità di osservati antropici (mutevoli entrambi storicamente e topologicamente, cioè diacronicamente e sincronicamente): questo è il quadro operazionale che direttamente deriva dalla consapevolezza fenomenologica della complessità» (Piro, S.: 1993a, p. 20; Mele, A. e Piro, S. 1995 p. 13 ).
[4] Nella definizione originaria l'antropologia trasformazionale è la scienza delle interferenze di traiettorie d'esistenza, (nel linguaggio comune "destino umano").
[5] La conoscenza dell’altro o di ciò che accade, durante una relazione umana spesso, è anticipazione dell’altrui azione; è una comprensione per ricorrenza (diacronica), conoscenza di massa (sincronica) o conoscenza di massa per ricorrenza (pancronica).
L'uomo comune tra scienza e cura
da giuseppe errico
4 Gen 2019
Mutazioni personali tra scienza e cura
«…l’uomo comune ha esperienza diretta dei singoli eventi ripetuti nello scorrere del tempo,
mentre lo psicologo tenta di ricostruire a ritroso una catena di eventi, così che l’operare
del primo è anterogrado e adeso alla freccia del tempo e l’operare del secondo è retrogrado». Piro S.1993
Per coloro che, come chi scrive, svolgono attività didattica (empirica) e soprattutto clinica [1] nel vasto orizzonte sociale, della sofferenza oscura[2] e delle mutazioni, contro le situazioni (anche interiorizzate) di limitazione e danno personale[3], utilizzando percorsi diversificati, prassi trasformazionali diretta ad altri (in genere persone sofferenti, escluse, marginate) congiuntamente ed in maniera intrecciata nel campo sociale, mutamento personale, passione del viaggio comune, auto-critica, il legame al proprio tempo personale e storico, labilità dei mezzi e provvisorietà delle scelte strategiche costituiscono dei precisi aspetti legati ad un “atteggiamento operazionale” (abito mentale).
Questo ricercato slargamento della conoscenza umana (il pensare, il vivere, l’esperire), tale apertura al nuovo, tale sperimentazione del tempo della cura, appare connessionale, legato al campo sociale in cui vive il paziente, alla narrazione delle storie individuali delle stesse persone sofferenti, a ciò che accade e subentra nel campo antropico umano (ideologie, forme mentis) e al campo vasto delle conoscenze umane: assume un carattere fortemente pratico per il paziente e il clinico denso di conseguenze patiche e, pone - in maniera rigorosa - in continuità la ricerca del nuovo e del sapere, l’esperienza quotidiana pratica, il patire, il vivere: la ricerca non dimentica mai che svolgersi nel mondo umano è, insieme, capire e vivere (Piro S. 2005).
L’assorbimento delle conoscenze innovative che influenzano il campo “psy”, la continuità fra la ricerca, la cura e la vita non è un’utopia per il lavoro clinico di uno psicoterapeuta, neppure un' asserzione generica di modalità fra loro diverse della presenza: al di là del senso antropologico e biologico vastissimo del vivere come ricerca, gli intrecci, le connessioni e i rovesciamenti nell'intersezione fra vita collettiva, conoscenze, relazioni interpersonali, pulsare dell'interiorità, divenire dei sentimenti sono riconoscibili nel tema e nello svolgimento di ogni ricerca nel campo delle scienze umane applicate.
Ogni ricerca profonda è ontologicamente sempre ricerca di una verità (anche interiore)[4]. Ogni atto terapeutico verso qualcuno, nel campo psy, implica un coinvolgimento personale, una trazione forte d’azione verso una persona sofferente: qui allora occorre l’utilizzazione necessaria della propria esperienza ricorrenziale (diacronica e pancronica)[5] di situazioni analoghe, lo strato dell’esperienza professionale vissute nelle fasi preparatorie al lavoro, l’utilizzazione estesa di idee e prassi di ciò che abbiamo compreso e afferrato con la coscienza in passato e a contatto con livelli differenti e intrecciati di sofferenza umana.
In linea generale il processo psicoterapeutico ha modalità diverse e sembra, del tutto provvisoriamente, dalla letteratura e dalla personale esperienza, consistere nel sovrapporsi e mescolarsi di stadi multipli e parziali di momenti etero-trasformazionali ed autotrasformazionali.
Durante un incontro clinico, in genere, una persona entra nello studio del terapeuta, domanda dove sedersi, si accomoda, sospira, guarda negli occhi il terapeuta, e da quel momento, comincerà, probabilmente, a parlare, nell’attesa di una possibile risposta e, nella maggioranza dei casi, dell ‘attivazione’ del cosiddetto "transfert" (se il terapeuta e di stampo freudiano o psicanalitico), di una data ‘ospitalità’ psichica, non ancora sapendo se il suo desiderio non realizzato lo spingerà a parlare di se stesso per ore e ore, se cederà all’impulso di ‘risolversi’ autonomamente, bloccando qualsiasi spunto di riflessione su se stesso, abbandonando così la ‘cura’.
In altri luoghi paesi stranieri una persona, entra in una capanna/tepee, si siede/stende, prova a respirare meno affannosamente, guarda negli occhi lo sciamano/stregone (come indica Levi-Straus il ‘nele’) del villaggio. Costui solo è colui che detiene la saggezza, la cura, inizia a parlare e/o cantare con ritmo, e da quel momento, pur non sapendo se ciò che lo ha portato lì, scomparirà, potrà scegliere di affidarsi al ‘mana’, alla ‘ospitalità’ simbolica del ‘curandero’ o, invece, tornare ad affrontare i suoi ‘spiriti’ (buoni e cattivi che siano) che lo hanno accompagnato fin lì nel luogo dell'incontro magico, della cura e della saggezza antica.
Abbiamo così due contesti psichici diversi, che lavorano sulla persona sofferente: lo studio di uno psicoterapeuta o la capanna/tenda dello sciamano. La dimensione possibile della ‘ospitalità’ simbolica, transferale, di natura prettamente psichica, possa indirizzarsi verso una ‘cura’, che sia di natura psicologica, e laddove ci sia l’adeguata cultura, anche a forte connotazione antropologica, e divenire una fattore portante dell’incontro ‘curativo’ tra due soggetti che, probabilmente, prima di allora, non si erano mai conosciuti né visti, e che cominceranno uno ‘scambio’ . Tale scambio avrà una ‘dimensione emotiva", unica, una imprescindibile singolarità, al di là di qualsiasi possibile approccio teorico o culturale.
Note
[1] Occorre sottolineare che tali prassi antagonizzanti la sofferenza umana, nell’ottica Antropologica Trasformazionale, possono includere diversi fattori: l’attesa, il silenzio, la pausa cronodetica (sospensione del giudizio), la libera fluenza (associazioni libere), la riflessione su se stessi o erlebnis, la costituzione finalizzata ad un obiettivo preciso e a modalità operative (orari, spazi, “setting”). Cfr. Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, FrancoAngeli, Milano, 1993. p.195.
[2] Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, Franco Angeli, Milano, 1993. pp.222-223. L'”Antropologia trasformazionale” di Piro, scuola sperimentale di cui chi scrive si è formato, si è costituita gradatamente come possibile campo unitario della conoscenza del mondo degli eventi umani e delle loro trasformazioni, come risultato cioè di una complessa ricerca linguistica, semantica, fenomenologica, psicologica, psicopatologica, psicoterapeutica, pedagogica, didattica condotta dall'autore di questo scritto. É stata talora usata questa formula narrazionale: «Molteplicità di strumenti antropologici di osservazione e molteplicità di osservati antropici (mutevoli entrambi storicamente e topologicamente, cioè diacronicamente e sincronicamente): questo è il quadro operazionale che direttamente deriva dalla consapevolezza fenomenologica della complessità» (Piro, S.: 1993a, p. 20; Mele, A. e Piro, S. 1995 p. 13 ).
[3] Nella definizione originaria l'antropologia trasformazionale è la scienza delle interferenze di traiettorie d'esistenza, (nel linguaggio comune "destino umano"). L'”Antropologia trasformazionale” di Piro, scuola sperimentale di cui chi scrive si è formato, si è costituita gradatamente come possibile campo unitario della conoscenza del mondo degli eventi umani e delle loro trasformazioni, come risultato cioè di una complessa ricerca linguistica, semantica, fenomenologica, psicologica, psicopatologica, psicoterapeutica, pedagogica, didattica condotta dall'autore di questo scritto. É stata talora usata questa formula narrazionale: «Molteplicità di strumenti antropologici di osservazione e molteplicità di osservati antropici (mutevoli entrambi storicamente e topologicamente, cioè diacronicamente e sincronicamente): questo è il quadro operazionale che direttamente deriva dalla consapevolezza fenomenologica della complessità» (Piro, S.: 1993a, p. 20; Mele, A. e Piro, S. 1995 p. 13 ).
[4] Nella definizione originaria l'antropologia trasformazionale è la scienza delle interferenze di traiettorie d'esistenza, (nel linguaggio comune "destino umano").
[5] La conoscenza dell’altro o di ciò che accade, durante una relazione umana spesso, è anticipazione dell’altrui azione; è una comprensione per ricorrenza (diacronica), conoscenza di massa (sincronica) o conoscenza di massa per ricorrenza (pancronica).