Il 12 settembre 2025 ricorre il centenario della nascita di Giovan Giacomo Giordano (1925–2010), anatomopatologo napoletano che ha inciso profondamente nella medicina italiana e internazionale. Per oltre cinquant’anni ha insegnato Anatomia e Istologia Patologica all’Università di Napoli (oggi Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”), pubblicando oltre 300 lavori scientifici e introducendo in Italia anticorpi monoclonali e tecniche di biologia molecolare nella diagnostica oncologica, aprendo la strada alla medicina di precisione.
Il suo impegno civile è stato netto: già negli anni ’70 con il Libro bianco “Salute e Ambiente in Campania” segnalava le emergenze ambientali poi note come Terra dei Fuochi; nel 1984 affermava che non esiste una soglia sicura di esposizione all’amianto; nel 1987 denunciava irregolarità in un concorso all’Istituto Tumori “Fondazione Pascale” di Napoli, opponendosi a logiche clientelari.
Tra gli incarichi di maggiore risonanza, l’esame delle stimmate di Padre Pio e, con il maestro Pietro Verga, la autopsia di Lucky Luciano che chiarì la causa naturale del decesso. Oggi quell’eredità è viva anche nell’impegno medico e sociale del figlio Antonio Giordano, scienziato italoamericano di fama internazionale, che con la Sbarro Health Research Organization (SHRO) porta avanti una visione che intreccia ricerca, prevenzione e responsabilità verso i cittadini.
L’intervista
Professore, qual è la frase di suo padre che più l’ha guidata?
«C’è una frase che porto dentro da sempre: “Prima devi essere uomo, e poi uomo di scienza.” Non era un motto da cornice, era il suo modo di vivere. Per mio padre la qualità umana precedeva la competenza, e questa priorità si rifletteva in ogni scelta, sia nello sguardo ai pazienti sia nella fermezza davanti ai compromessi. Io mi sono nutrito di questi insegnamenti: crescere al suo fianco, condividere le sue sfide e le sue convinzioni, mi ha fatto capire che scienza, ambiente, salute e responsabilità civile non sono compartimenti stagni, sono fili dello stesso tessuto. Quella frase, oggi, è la mia bussola quotidiana».
L’impatto scientifico di Giovan Giacomo Giordano in poche immagini vive.
«Vedo mio padre in aula e in laboratorio per oltre cinquant’anni, all’Università di Napoli, mentre costruisce con pazienza una scuola e una comunità scientifica. Vedo i suoi oltre trecento lavori e l’intuizione di portare, tra i primi, anticorpi monoclonali e biologia molecolare in anatomia patologica oncologica: non fu solo innovazione tecnica, fu un cambio di mentalità. Quel passo ha contribuito ad aprire la strada a ciò che oggi chiamiamo medicina di precisione. E in tutto questo, accanto a lui, c’era mia madre, Maria Teresa Sgambati: un sostegno quotidiano, silenzioso e decisivo, che ha reso possibile quel lavoro e quelle battaglie etiche».
Negli anni ’70 il “Libro bianco” su salute e ambiente in Campania. Che cosa ci ha lasciato?
«Ci ha lasciato uno sguardo lungo. In un tempo in cui non c’erano le parole e i riflettori di oggi, mio padre metteva già in relazione inquinamento e malattie oncologiche. Quel Libro bianco “Salute e Ambiente in Campania” è stato un atto di responsabilità: non una denuncia fine a sé stessa, ma un modo per dire che la scienza deve farsi carico del territorio, dei cittadini, delle ricadute concrete. È una lezione attuale: i dati vanno letti, resi comprensibili, trasformati in tutela della salute».
1984: “non esiste una soglia sicura di esposizione all’amianto”.
«Quella affermazione, allora, era scomoda e necessaria. Dire che non esiste una soglia sicura significava togliere ambiguità e zone grigie. Anni dopo, nel 1992, l’Italia arrivò al bando dell’amianto: quel percorso era già scritto nella chiarezza dei dati. Mio padre su questi temi non cercava mediazioni: prima viene la salute pubblica».
1987, il concorso al Pascale: una ferita e una lezione civile.
«Denunciare le irregolarità non fu un gesto isolato, fu la conseguenza naturale di una vita spesa nella coerenza. In quell’episodio, raccontato da Sergio Zavoli con Cesare Maltoni e alla presenza dell’allora ministro della Sanità, si vide il contrasto tra la sanità come bene pubblico e le logiche clientelari. Alcuni accettarono compromessi, scambiando favori e posizioni. Mio padre scelse la strada più difficile. Con Tangentopoli quel sistema venne travolto: resta l’idea che l’etica non è un accessorio della scienza, ne è la condizione».
I casi di grande risonanza: Padre Pio e Lucky Luciano. Che cosa le dicono oggi?
«Dicono che il metodo non cambia con il clamore. Davanti alle stimmate di Padre Pio, mio padre portò rigore scientifico e imparzialità, con rispetto e senza pregiudizi. Con il suo maestro Pietro Verga, nell’autopsia di Lucky Luciano, la cura del dettaglio consentì di chiarire la causa naturale del decesso, spegnendo illazioni e rumors. In entrambi i casi, la lezione è la stessa: la scienza serve la verità, non lo spettacolo».
Riconoscimenti e memoria: oltre i premi, che cosa resta?
«I premi, il “Guido Dorso” (1976), la nomina a Professore Emerito alla Temple University (2001), sono segni importanti. Ma ciò che sento più vivo è il Polo scientifico “Giovan Giacomo Giordano” istituito nel 2010, che premia studiosi tra Italia e Stati Uniti, e la dedica del Centro civico polivalente a Corbara nel 2019. Sono gesti che dicono una cosa semplice: quell’eredità non è un ricordo, è un impegno condiviso».
Se dovesse sintetizzare la sua eredità morale in una frase rivolta ai giovani?
«Direi questo: la scienza non è mai separata dall’onestà intellettuale e dalla responsabile ricerca della verità. Fare ricerca non basta: bisogna metterla al servizio della collettività, con rigore, integrità e attenzione all’ambiente e alla salute. Io ho avuto il privilegio di crescere accanto a lui: il suo esempio continua a guidarmi ogni giorno. È a questo che chiedo ai giovani di guardare».
Giovan Giacomo Giordano, il medico che unì etica e scienza
da SHRO Media Press
venerdì
Il 12 settembre 2025 ricorre il centenario della nascita di Giovan Giacomo Giordano (1925–2010), anatomopatologo napoletano che ha inciso profondamente nella medicina italiana e internazionale. Per oltre cinquant’anni ha insegnato Anatomia e Istologia Patologica all’Università di Napoli (oggi Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”), pubblicando oltre 300 lavori scientifici e introducendo in Italia anticorpi monoclonali e tecniche di biologia molecolare nella diagnostica oncologica, aprendo la strada alla medicina di precisione.
Il suo impegno civile è stato netto: già negli anni ’70 con il Libro bianco “Salute e Ambiente in Campania” segnalava le emergenze ambientali poi note come Terra dei Fuochi; nel 1984 affermava che non esiste una soglia sicura di esposizione all’amianto; nel 1987 denunciava irregolarità in un concorso all’Istituto Tumori “Fondazione Pascale” di Napoli, opponendosi a logiche clientelari.
Tra gli incarichi di maggiore risonanza, l’esame delle stimmate di Padre Pio e, con il maestro Pietro Verga, la autopsia di Lucky Luciano che chiarì la causa naturale del decesso. Oggi quell’eredità è viva anche nell’impegno medico e sociale del figlio Antonio Giordano, scienziato italoamericano di fama internazionale, che con la Sbarro Health Research Organization (SHRO) porta avanti una visione che intreccia ricerca, prevenzione e responsabilità verso i cittadini.
L’intervista
Professore, qual è la frase di suo padre che più l’ha guidata?
«C’è una frase che porto dentro da sempre: “Prima devi essere uomo, e poi uomo di scienza.” Non era un motto da cornice, era il suo modo di vivere. Per mio padre la qualità umana precedeva la competenza, e questa priorità si rifletteva in ogni scelta, sia nello sguardo ai pazienti sia nella fermezza davanti ai compromessi. Io mi sono nutrito di questi insegnamenti: crescere al suo fianco, condividere le sue sfide e le sue convinzioni, mi ha fatto capire che scienza, ambiente, salute e responsabilità civile non sono compartimenti stagni, sono fili dello stesso tessuto. Quella frase, oggi, è la mia bussola quotidiana».
L’impatto scientifico di Giovan Giacomo Giordano in poche immagini vive.
«Vedo mio padre in aula e in laboratorio per oltre cinquant’anni, all’Università di Napoli, mentre costruisce con pazienza una scuola e una comunità scientifica. Vedo i suoi oltre trecento lavori e l’intuizione di portare, tra i primi, anticorpi monoclonali e biologia molecolare in anatomia patologica oncologica: non fu solo innovazione tecnica, fu un cambio di mentalità. Quel passo ha contribuito ad aprire la strada a ciò che oggi chiamiamo medicina di precisione. E in tutto questo, accanto a lui, c’era mia madre, Maria Teresa Sgambati: un sostegno quotidiano, silenzioso e decisivo, che ha reso possibile quel lavoro e quelle battaglie etiche».
Negli anni ’70 il “Libro bianco” su salute e ambiente in Campania. Che cosa ci ha lasciato?
«Ci ha lasciato uno sguardo lungo. In un tempo in cui non c’erano le parole e i riflettori di oggi, mio padre metteva già in relazione inquinamento e malattie oncologiche. Quel Libro bianco “Salute e Ambiente in Campania” è stato un atto di responsabilità: non una denuncia fine a sé stessa, ma un modo per dire che la scienza deve farsi carico del territorio, dei cittadini, delle ricadute concrete. È una lezione attuale: i dati vanno letti, resi comprensibili, trasformati in tutela della salute».
1984: “non esiste una soglia sicura di esposizione all’amianto”.
«Quella affermazione, allora, era scomoda e necessaria. Dire che non esiste una soglia sicura significava togliere ambiguità e zone grigie. Anni dopo, nel 1992, l’Italia arrivò al bando dell’amianto: quel percorso era già scritto nella chiarezza dei dati. Mio padre su questi temi non cercava mediazioni: prima viene la salute pubblica».
1987, il concorso al Pascale: una ferita e una lezione civile.
«Denunciare le irregolarità non fu un gesto isolato, fu la conseguenza naturale di una vita spesa nella coerenza. In quell’episodio, raccontato da Sergio Zavoli con Cesare Maltoni e alla presenza dell’allora ministro della Sanità, si vide il contrasto tra la sanità come bene pubblico e le logiche clientelari. Alcuni accettarono compromessi, scambiando favori e posizioni. Mio padre scelse la strada più difficile. Con Tangentopoli quel sistema venne travolto: resta l’idea che l’etica non è un accessorio della scienza, ne è la condizione».
I casi di grande risonanza: Padre Pio e Lucky Luciano. Che cosa le dicono oggi?
«Dicono che il metodo non cambia con il clamore. Davanti alle stimmate di Padre Pio, mio padre portò rigore scientifico e imparzialità, con rispetto e senza pregiudizi. Con il suo maestro Pietro Verga, nell’autopsia di Lucky Luciano, la cura del dettaglio consentì di chiarire la causa naturale del decesso, spegnendo illazioni e rumors. In entrambi i casi, la lezione è la stessa: la scienza serve la verità, non lo spettacolo».
Riconoscimenti e memoria: oltre i premi, che cosa resta?
«I premi, il “Guido Dorso” (1976), la nomina a Professore Emerito alla Temple University (2001), sono segni importanti. Ma ciò che sento più vivo è il Polo scientifico “Giovan Giacomo Giordano” istituito nel 2010, che premia studiosi tra Italia e Stati Uniti, e la dedica del Centro civico polivalente a Corbara nel 2019. Sono gesti che dicono una cosa semplice: quell’eredità non è un ricordo, è un impegno condiviso».
Se dovesse sintetizzare la sua eredità morale in una frase rivolta ai giovani?
«Direi questo: la scienza non è mai separata dall’onestà intellettuale e dalla responsabile ricerca della verità. Fare ricerca non basta: bisogna metterla al servizio della collettività, con rigore, integrità e attenzione all’ambiente e alla salute. Io ho avuto il privilegio di crescere accanto a lui: il suo esempio continua a guidarmi ogni giorno. È a questo che chiedo ai giovani di guardare».