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Secondo il National Cancer Institute la parola “cancro” genererebbe eccessivo panico tra le persone. Ma forse più che eliminare la parola bisogna imparare a comunicare col paziente e provare ad arricchire il vocabolario ricordandosi che ogni parola ha anche un significato emotivo

Recentemente è arrivata una provocazione dagli Stati Uniti e in particolare dal National Cancer Institute: la parola “cancro” sarebbe utilizzata in maniera non opportuna e genererebbe eccessivo panico tra le persone. Obiettivamente la parola “cancro” innesca fantasie di morte e di letalità nella maggioranza delle persone ed è portatrice di un carico emotivo notevole.

La ricercatrice Esserman di San Francisco invita ad un uso più parsimonioso della parola “cancro” e alla sua eliminazione da una serie di diagnosi di alterazioni istologiche che non necessariamente conducono al cancro e che spesso vengono trattate in maniera aggressiva e radicale sottoponendo il paziente a stress enormi e a trattamenti molto invasivi non commisurati alla condizione diagnosticata.

Forse più che eliminare bisogna imparare a comunicare, perché se il mondo della medicina non integra modalità più umane ed empatiche per comunicare ai pazienti anche notizie drammatiche, possiamo provare a cancellare tutte le parole il cui impatto emotivo è negativo ma non avremo risolto nulla… Sicuramente si può provare a ridefinire alcuni termini e concetti senza stravolgere la letteratura scientifica: le tecniche di biologia molecolare per lo studio di tumori ci dimostrano da anni che le alterazioni molecolari delle cellule cancerose sono innumerevoli e a tanta “diversità” molecolare spesso corrispondono prognosi e risposta ai trattamenti differenti. Conviene forse sia migliorare la comunicazione col paziente, sia provare ad “arricchire il vocabolario” per definire con gradualità condizioni patologiche che possono differire notevolmente. Comunicare in modo sano, consapevole, empatico e umano è fondamentale per offrire un buon servizio ai pazienti…

Dunque la comunicazione risulta fondamentale nel rapporto tra medico e paziente, specialmente perché troppo spesso ne viene sottovalutato il potere. Ogni parola non possiede soltanto un significato semantico ma anche uno emozionale che nel caso della parola “cancro” evoca spettri e paure collegate all’idea d’ineluttabilità sottesa a questa patologia.

Uno studio del 2012 guidato dallo psico-oncologo Michael Antoni dell’università di Miami, Florida, che coinvolgeva 200 donne con diagnosi di tumore al seno agli stadi iniziali, ha dimostrato che le donne sottoposte a un corso di dieci settimane sul controllo dello stress avevano ridotta espressione dei geni collegati a infiammazione e metastasi rispetto al gruppo che non aveva seguito il corso. Ancor più sorprendente era che le donne sottoposte al corso avevano un’aumentata espressione dei geni collegati alla lotta contro virus e tumori.

Sempre più studi stanno confermando l’ormai inscindibile legame tra sistema immunitario e nervoso. Tutti abbiamo esperito come in momenti di stress e depressione ci sia un calo immunitario che ci rende più proni ad ammalarci. Una vasta letteratura medica sull’effetto placebo ed episodi di terapie per suggestione (come il mesmerismo) ci dimostrano come la fiducia e la speranza possano funzionare come veri e propri farmaci.

Inoltre non è da sottovalutare che al momento le terapie più promettenti nell’ambito della cura dei tumori sono quelle che rieducano il sistema immunitario dei pazienti a riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. È ormai assodato che le cellule tumorali riescono a trovare modi per sfuggire alla sorveglianza del sistema immunitario e queste nuove terapie, mirando alla sua rieducazione, cercano di generare un contesto in cui l’organismo stesso del paziente reagisce contro la malattia senza bisogno di lunghi e debilitanti cicli di chemioterapia. Nonostante questo tipo di terapie siano ancora agli albori, le aspettative sono grandi ed è fondamentale che il paziente “partecipi” attivamente al processo di cura.

E qui torniamo al punto iniziale: possono gli spettri collegati alla parola “cancro” influenzare la riuscita di queste terapie? Questo non possiamo dirlo con certezza scientifica, ma di certo lo stress ed il carico emozionale negativo che si porta dietro la parola “cancro” potrebbero rischiare di influenzare il risultato di queste terapie immuno-modulatorie.

“Happiness matters”, direbbero gli americani, e dunque al giorno d’oggi è necessaria ed indispensabile una ri-nomenclatura del cancro e dei suoi differenti stadi, ed è forse ancor più fondamentale ristabilire quel rapporto di empatia e umanità tra medico e paziente. Nondimeno sarebbe auspicabile in un futuro prossimo, la fondazione di percorsi di supporto psicologico paralleli a quelli clinici che possano aiutare il paziente a 360 gradi durante la sua lotta verso la guarigione.

Per approfondimenti

http://www.lavocedinewyork.com/Cancro-questione-di-vocabolario-o-di...

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