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Da Philadelphia lo scienziato Antonio Giordano risponde alle domande di Picchio News sull'emergenza Covid-19

Gli Stati Uniti sono il Paese con più contagi al mondo, e nelle ultime 24 ore ha tolto all’Italia anche il triste primato dei decessi per Covid-19. Un momento storico difficile da commentare, in quanto servono risposte attendibili su come e quando si potrà porre la parola 'fine' a questa emergenza sanitaria.

Grazie all'amicizia di lungo corso con il direttore Guido Picchio, la Redazione di Picchio News ha raggiunto l’accademico napoletano di fama mondiale, il professor Antonio Giordano,direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia e riconosciuto comeuna delle 100 eccellenze italiane mediche nella diagnosi e cura del cancro polmonare, per farci illustrare come gli Stati Uniti stanno affrontando l’emergenza Covid-19 e quali sono gli scenari futuri in materia di misure preventive e su possibili vaccini.

Prof. Giordano considerando che lei vive e lavora negli Stati Uniti come sta affrontando sia livello professionale che personale questa situazione di emergenza?

"Per contenere il contagio dobbiamo limitare i nostri spostamenti, evitare luoghi affollati e uscire solo se strettamente necessario. Da subito, ho adempiuto a questi doveri come cittadino, come scienziato ho iniziato a studiare le caratteristiche di questo nuovo virus, collaborando, quotidianamente, con esperti di tutto il mondo"

L’Italia è stato il primo paese europeo a confrontarsi con il Covid-19 e, nonostante in alcune zone la curva dei contagi sia in discesa continua, il numero dei nuovi casi e dei contagiati rimane sempre considerevole. Quando pensa che ci potrà essere un’inversione di tendenza di questi dati?

"Le pandemie sono eventi naturali e ricorrenti, non siamo in grado di prevedere con precisione il decorso della pandemia da Covid-19, ma possiamo imparare per somiglianza o per differenza dalle pandemie del passato. Finalmente si inizia a vedere una diminuzione di nuovi casi, ma naturalmente dobbiamo essere cauti prima di abbandonare le misure di contenimento"

Nell’ultimo mese nel nostro paese si sono susseguiti diversi decreti governativi che hanno portato a delle limitazioni sempre più stringenti per la popolazione. Secondo lei tali misure sono state adottate nei tempi giusti o ci sono state delle sottovalutazioni iniziali nel valutare il fenomeno?

"Il rischio è stato sottovalutato e tutti i Governi hanno agito in ritardo. Certamente si sarebbe potuto fare di più, d’altra parte, molti paesi e gli stessi organismi internazionali si sono mossi in modo poco coordinato, spesso confuso e, a volte, contraddittorio. Di fronte all’enorme tragedia di morte e sofferenza provocata dalla pandemia di COVID-19, di fronte al disastro sociale ed economico che sta causando, il mondo nel suo complesso e l’Italia non erano preparati. Una valutazione complessiva però potrà essere fatta solo quando la pandemia sarà finita"

Le strutture sanitarie italiane stanno tutte lavorando a pieno ritmo, così come gli operatori. La stessa situazione si verifica anche in America. Dal suo punto di vista cos’è mancato sotto questo aspetto per una gestione efficace di tutto l’apparato?

"Gli ospedali pubblici stanno affrontando una situazione più complicata e difficile del solito. Abbiamo avuto una tardiva attivazione delle misure di contenimento e una situazione di  impreparazione, anche per problemi strutturali negli ospedali; operatori sanitari che operano con turni massacranti e in carenza, mancanza e/o inadeguatezza dei dispositivi di protezione; reparti di terapia intensiva pieni, che rischiano il collasso. Questa situazione va ascritta non solo al Covid 19 ma anche al fatto che, nel corso degli anni, la sanità è stata fatta a pezzi"

Le mascherine sembrano diventate ormai un oggetto indispensabile per tutti noi, oltre che - in certi casi - quasi introvabile. Sono veramente protettive o c’è comunque bisogno di munirsi di altri dispositivi?

"Non abbiamo evidenze per dire che il virus circoli nell’aria. I dati che abbiamo a livello epidemiologico ci dicono che le principali vie di trasmissione sono per droplet e per contatto, per cui - oltre all’uso delle mascherine - è necessario lavarsi le mani e mantenere il distanziamento fisico. 

Nelle strutture sanitarie, dove c’è un’elevata circolazione del virus, è raccomandato l’uso di mascherine mediche, respiratori e altri dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari. 

Nei nuclei abitati raccomandiamo l’uso di mascherine mediche. Ne abbiamo di diversi tipi: le mascherine chirurgiche che, non servono a proteggere sé stessi, ma gli altri, e che sono raccomandate per persone infette.

Le mascherine FP2 o FP3, quelle con la valvola, che aiutano le persone a non infettarsi, anche se attraverso la valvola possono uscire i germi del virus. Quindi, le persone che usano questo tipo di mascherina, al di sopra, dovrebbero mettere la mascherina chirurgica.

Infine, abbiamo le mascherine FP2 o FP3 senza valvola, che servono a proteggere sia se stessi sia gli altri. Le raccomandazioni possono cambiare nel tempo sulla base della maggiore conoscenza del virus.

In questa prima fase di lockdown non è necessario utilizzarle, in quanto la principale difesa deve essere il distanziamento, molto probabilmente quando si passerà alla fase 2, e ci si troverà a contatto con altre persone, si dovrà usare la mascherina e quella chirurgica è la preferibile"

Alla luce degli ultimi avvenimenti, quale potrebbe essere l’atteggiamento corretto per non rischiare di perdere il contatto con la realtà visto che, da giorni, siamo costretti a restare chiusi in casa

"Milioni di italiani stanno in casa per limitare il contagio e questa è una situazione nuova per tutti. Bisogna continuare a mantenere quanto più è possibile una routine regolare. Anche questo periodo può avere risvolti positivi, chi sta sperimentando forme di telelavoro, chi si dedica agli hobbies e alla cucina. Le persone possono riscoprire ritmi meno frenetici, utilizzare il tempo in maniera più piena e creativa, riappropriandosi di momenti personali. È difficile rimanere sereni e trasmettere tranquillità, gestire lo stress, non far trasparire la paura, gestire l’ansia, ma l'uomo per sua natura è abituato ad adattarsi alle diverse situazioni: anche a quelle più critiche"

Non si fa altro che parlare della ricerca di un vaccino, da somministrare con un cerotto, che sarebbe capace di mettere la parola fine a questa pandemia. Secondo le sue informazioni, a che punto sono le ricerche in campo scientifico?

"La corsa per mettere a punto un vaccino anti COVID-19 non solo è giustificata, ma assolutamente necessaria dal momento che il Covid-19 uccide adulti e anziani e si trasmette velocemente. Tuttavia, nella sua messa a punto deve essere incluso il tempo necessario per valutarne gli effetti collaterali.

Al momento, gli studi in corso nei laboratori di tutto il mondo, stanno conducendo alla produzione di nuovi dati e, quindi, a diversi progetti sui vaccini. Il vaccino deve essere capace di indurre nell’organismo la produzione di anticorpi per difendersi; per arrivare allo stesso obiettivo le aziende si avvalgono di tecnologie diverse e solo con il tempo potremo capire quale sarà quello più efficiente"

Su quali altre cure si sta lavorando e quali sono i tempi di una loro, eventuale, messa in commercio?

"Attualmente, non esistono terapie specifiche per COVID-19, ma sono tutte sperimentali. La terapia di supporto può far guadagnare tempo al paziente per recuperare le funzioni di base.

Una gamma molto varia di farmaci è stata somministrata ai pazienti di COVID-19. 

Tuttavia qualche piccolo segnale positivo arriva e riguarda principalmente quattro trattamenti ancora in fase di test: gli antimalarici clorochina e idrossiclorochina, l’anti-Ebola remdesivir, il farmaco anti-artrite tocilizumab e la terapia al plasma.

La clorochina e idrossiclorochina sono usati anche per il trattamento di altre malattie autoimmuni e dai primi dati sembrano ridurre il peggioramento dell’infezione. 

Il tocilizumab è un anticorpo monoclonale diretto contro il recettore dell’interleuchina-6 e sembra avere una forte efficacia anti-infiammatoria. In alcuni casi, specialmente molto gravi, pazienti ricoverati in terapia intensiva e intubati sono migliorati entro 48 ore dalla somministrazione della terapia.

Il remdesivir è attualmente in fase 3 di sperimentazione, cioè nella fase in cui oltre alla sicurezza si valuta l’efficacia del farmaco. Il trattamento consiste nell’utilizzare il plasma dei pazienti guariti dal Covid-19, quindi ricco di anticorpi capaci di fermare il nuovo coronavirus. In ogni caso, trovare un trattamento applicabile richiede un percorso di sperimentazioni rigorosamente controllate e, quindi, tempo"

Ci aiuta a capire se davvero il virus resta nell’aria e dunque vi sia la possibilità di contrarlo attraverso “aria contaminata”?

"Quando le persone sono infette da un virus respiratorio emettono particelle virali ogni volta che parlano, respirano, tossiscono o starnutiscono. Queste particelle sono racchiuse in goccioline (“droplet”) di muco, saliva e acqua. Le goccioline più grandi sono più pesanti e cadono a una distanza ravvicinata e questo è il motivo per cui manteniamo la distanza di almeno 1 metro.

I globi più piccoli evaporano, lasciando virus secchi in sospensione nell’aria che si spostano più lontano e che sono chiamati “aerosol”. Produciamo aerosol quando espiriamo l’aria dai polmoni o quando parliamo.

Le ricerche pubblicate finora suggeriscono che il virus resta nell’aria circostante i pazienti ricoverati negli ospedali, ma non ci sono evidenze che dimostrano che queste particelle siano contagiose. La questione non è se il virus è nell’aria, come detto, ma quanto devono essere concentrate le particelle virali sotto forma di aerosol per infettare altre persone presenti nella stessa stanza. Per rispondere abbiamo bisogno di ulteriori esperimenti"

Come immagina che riprenderà la vita dopo che sarà passata questa emergenza e, secondo lei, cosa cambierà nella quotidianità delle persone?

"Mi auspico, che da questa pandemia se ne esca migliori. Confido che l’umanità possa guardarsi un po' intorno prendendosi cura del nostro pianeta. Il Covid-19 ha potuto diffondersi anche a causa della distruzione dell’ecosistema, e di quelle barriere naturali che avrebbero potuto rappresentare un argine al contagio"

 

Per approfondimenti

https://picchionews.it/sanita/da-philadelphia-lo-scienziato-antonio...

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