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Sono sempre di più gli studi che evidenziano un legame tra infiammazioni e tumori

Numerose evidenze dimostrano che le principali citochine rilasciate durante l’infiammazione cronica favoriscono la proliferazione delle cellule tumorali e inducono processi di metastatizzazione

La difficoltà della comprensione di patologie come il cancro è in buona parte attribuibile alla multifattorialità della malattia che rende quasi impossibile riuscire a dare il giusto peso ai differenti elementi che concorrono alla sua genesi. Eppure, man mano che la ricerca procede, emergono in maniera abbastanza chiara alcuni fattori che sembrano essere alla base di moltissime tipologie di tumori come l’infiammazione, il cui legame col cancro, soprattutto per ciò che riguarda l’acquisizione della malignità, appare un elemento cruciale.

Numerosi studi indipendenti dimostrano che malattie infiammatorie croniche come coliti, epatiti e pancreatiti aumentano fortemente il rischio di sviluppare un tumore negli organi interessati. Ben noto, inoltre, è il collegamento tra diabete tipo II, obesità e cancro, una relazione attribuibile anche in questo caso a meccanismi di natura infiammatoria. In effetti, tutti i casi sopra citati sono accomunati da un rilascio locale o sistemico di numerose citochine, fattori di crescita e ormoni che, sostenendo la proliferazione cellulare, possono favorire la progressione tumorale. Numerose evidenze dimostrano che le principali citochine rilasciate durante l’infiammazione cronica come  il TNF-α e l’interleuchina 6 favoriscono la proliferazione delle cellule tumorali, la loro sopravvivenza mediante inibizione dell’apoptosi e inducono processi di metastatizzazione. Appare anche dimostrato in letteratura che, se anche il tumore non è stato innescato all’origine da un processo infiammatorio, come avviene chiaramente nel cancro del colon-retto indotto dalla malattia infiammatoria intestinale oppure nel mesotelioma in cui la persistenza delle fibre di asbesto nell’organismo crea condizioni infiammatorie cancerogene, un tumore già formato, per poter crescere, crea esso stesso delle condizioni di infiammazione locale come avviene nel carcinoma della mammella. Diverse forme tumorali, infatti, sono capaci di produrre citochine e fattori autocrini o paracrini a sostegno della loro stessa crescita ed espansione.

Recentemente è stato dimostrato che le condizioni di infiammazione cronica possono ridurre l’attività della proteina p53, uno dei più noti oncosoppressori, definito “guardiano” del genoma proprio per il suo ruolo centrale nel mantenere l’integrità del DNA e garantire gli equilibri tra sopravvivenza e morte cellulare. In aggiunta è stato anche osservato che alcune forme mutate di p53, definite “oncogeniche”, oltre al venir meno al controllo del ciclo cellulare e dell’apoptosi, rendono più sensibili le cellule tumorali ai segnali infiammatori, favorendone una maggiore aggressività e disseminazione nell’organismo. È stato dimostrato, infatti, che “neutralizzando” l’attività di queste forme mutate di p53, le cellule tumorali rispondono meno agli stimoli infiammatori e risultano, quindi, meno aggressive.

Un’altra evidenza della centralità dell’infiammazione in molte forme tumorali sono gli studi che riguardano la proteina HMGB1, coinvolta nel rimodellamento della cromatina e nella regolazione dell’infiammazione: questa proteina è nota da tempo agli oncologi molecolari poiché è presente in grandi quantità nel carcinoma del polmone, del colon-retto, della mammella, del fegato e nel melanoma e viene rilasciata dalle cellule infiammatorie e da quelle danneggiate. Più recentemente, i ricercatori hanno scoperto uno stretto legame tra HMGB1 e la proteina TLR4, strettamente associata alle condizioni preinfiammatorie che sostengono la crescita del melanoma.

In parallelo, la stretta relazione tra cancro e infiammazione è documentata anche da numerosi studi sull’aspirina, uno dei farmaci antinfiammatori più comuni e diffusi tra la popolazione. Questi studi dimostrano che l’aspirina è in grado di prevenire alcuni tumori come quello del colon-retto con percentuali di riduzione del rischio fino al 40%. Altri possibili tumori “candidati” al trattamento di prevenzione con l’aspirina e con il sulindac, un altro farmaco antinfiammatorio, sono  il cancro del polmone, del seno, dello stomaco, dell’esofago e della prostata. Nonostante queste evidenze, rimangono ancora molti dubbi sull’uso degli antinfiammatori nella farmacoprevenzione dei tumori, soprattutto a causa degli effetti collaterali e delle incertezze sulle dosi ottimali del farmaco, nonché sulla durata del trattamento e sul momento più opportuno per cominciare la somministrazione.

Accanto agli studi sull’infiammazione e cancro saranno molto importanti anche quelli relativi all’immunoterapia, in modo tale da poter creare strategie terapeutiche capaci di agire contemporaneamente sui meccanismi infiammatori e sulla sorveglianza immunologica dato che un altro processo che si osserva nei tumori è l’evasione della risposta immunitaria.

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